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IL RUOLO DEGLI ENZIMI NELLA BIRRIFICAZIONEEcco cosa fanno durante la fermentazione

di Massimo Prandi

Il mash, ottenuto dalla miscelazione del malto e di eventuali altri cereali con l’acqua, è sottoposto ad un delicato processo termico di riscaldamento, che si compone di una precisa scala di temperatura, necessario a rendere il mosto idoneo alla fermentazione.
Questa fase permette l’attivazione di una ampia gamma di enzimi, che effettuano trasformazioni di rilevante importanza tecnologica a carico delle componenti macromolecolari apportate dai cereali.

Conoscere il dettaglio dei chimismi enzimatici è di fondamentale importanza per gestire correttamente i processi di birrificazione, sia a livello industriale che domestico.
Innanzitutto è necessario definire natura e funzionalità degli enzimi.
Si tratta di molecole proteiche, in grado di catalizzare, cioè velocizzare, una reazione chimica. Caratteristica prerogativa è che al termine della reazione, gli enzimi rimangono inalterati e sono, quindi, disponibili per catalizzare un nuovo processo chimico.
Pur essendo molecole teoricamente inesauribili, l’intensità dell’attività degli enzimi è influenzata da numerosi parametri, quali temperatura, acidità, salinità, contenuto di alcol. Ogni enzima presenta condizioni ottimali di lavoro; più l’ambiente si discosta dai parametri di riferimento, minore risulterà la velocità di reazione. Inoltre, qualora le condizioni ambientali raggiungano valori estremi, si può assistere alla denaturazione dell’enzima, ovvero la perdita irreversibile dell'attività enzimatica.

Durante il mashing intervengono molti gruppi di enzimi, che prendono parte alla produzione di un mosto facilmente fermentescibile e con caratteristiche di estrazione idonee alla produzione della birra desiderata.

Di seguito sono elencati i principali:

fitasi: enzima che permette l’acidificazione del mosto, mediante la degradazione della fitina, un fosfato organico contenente calcio e magnesio. Nella moderna industria non si ricorre più all’attività di questo enzima, che richiederebbe un prolungamento del processo produttivo di circa mezz’ora, e si impiega comunemente l’addizione di acido lattico, malto acido o altri mezzi acidificanti. Questo passaggio è talvolta usato dagli homebrewer per migliorare l’estrazione.

β-glucanasi: indispensabili per degradare i beta-glucani nei cereali non maltati, quali frumento, riso, avena e orzo tal quale. Tali enzimi attaccano le pareti delle strutture vegetali che contengono gli amidi, inoltre degradano i composti gommosi, senza intaccare le proteine necessarie alla ritenzione della schiuma e al corpo. L’azione di questi enzimi necessita di sostare il mosto a 37-45°C per 20 minuti. Questa fase è necessaria solo qualora si incorpori una sostanziale quantità (> 25%) di frumento non maltato o in fiocchi, riso o avena nel mosto. Con quantitativi inferiori, casi di mosti viscosi e filtraggi difficili possono di solito essere gestiti incrementando la temperatura di mash-out.

proteasi e peptidasi: gruppo di enzimi che degradano le proteine in aminoacidi, nutrienti indispensabili per la buona vitalità del lievito. Consentono, inoltre, di spezzare le lunghe catene proteiche, migliorando la ritenzione della schiuma e riducendo la torbidità. Il pH ottimale di esercizio è compreso tra 4,2 e 5,3 con temperature attorno a 50° C. Il protein rest, della durata di 20 – 30 minuti, è necessario solo per malti mediamente modificati, o nel caso di grani non maltati. Usare questa sosta in un mash che consiste principalmente di malti completamente modificati potrebbe penalizzare la ritenzione della schiuma e ridurre il corpo della birra.

diastasi: degrada gli amidi in zuccheri. Questi sono gli enzimi più importanti nella produzione della birra, infatti consentono di saccarificare l’amido in zuccheri fermentabili da parte dei Saccharomyces. L’α-amilasi e la β-amilasi sono i primi enzimi ad intervenire, idrolizzando i legami tra le unità di glucosio che costituisco gli amidi. Il primo enzima ha temperature ottimali di 63-76°C con pH di 5,7, mentre la β-amilasi ha la massima attività tra 55-65°C e pH pari a 5. Entrambe le soste possono essere protratte per 20-40 minuti o più. La prima degrada gli amidi e crea maltosio, zucchero molto fermentabile dai lieviti; se protratta porta a birre più alcoliche, secche e con minor corpo. L’attività della β-amilasi degrada gli amidi a zuccheri complessi detti destrine, non fermentabili nel breve periodo.

Un compromesso tra tutti i fattori fornisce le condizioni standard di mash: pH di 5,3, con temperatura di 65-70°C e tempo di sosta di circa un’ora.
Una temperatura più bassa di mash, minore o uguale a 65°C, darà una birra con poco corpo, secca. Una temperatura di mashing più alta, maggiore o uguale a 74°C, darà una birra meno fermentabile e più dolce.
La capacità del mastro birraio esperto, oltre ad una corretta scelta e dosaggio di malti e luppoli, risiede nella esperienza di gestione del mashing, che consente di indirizzare l’attività enzimatica e valorizzare al meglio le caratteristiche della materia prima al fine di produrre un particolare stile di birra.

Redazione

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